La poesia e il sogno di felicità nel canto XXII del Purgatorio
Nel settimo libro della sua “Tebaide”, Stazio descrive un devastante terremoto (“E già la crosta della terra si alza e sta per staccarsi, la superficie trema e un fitto polverone comincia a levarsi, nella campagna già si diffonde un muggito proveniente dagli Inferi”). Nel canto XXI del “Purgatorio”, preceduto da un vasto terremoto, Stazio incontra Dante ma questa volta è un tremare di gioia, un inno al Signore perché un’anima (quella di Stazio) ha scontato la sua pena, s’è purificata, ed è pronta per la luce e la letizia del Paradiso. Dante, Virgilio e Stazio formano subito un musicale dialogo, quasi una pausa nel difficile viaggio lungo la montagna sacra. Il canto XXII, che sarà letto e analizzato da Rino Mele (Fondazione di Poesia e Storia Exmachina) domenica mattina 1 luglio alle 11, nelle sale del Museo Archeologico Provinciale, ne è straordinaria continuazione: Virgilio chiede a Stazio come abbia fatto, lui pagano, a riconoscere la luce del vero Dio e salvarsi. Stazio, turbato dalla domanda, gli dice di aver trovato la verità proprio nelle pagine di Virgilio la cui opera lui tanto ha amato, e soprattutto dalla lettura della IV ecloga delle “Bucoliche”. È la più grande lode che Dante, attraverso le parole di un altro poeta, possa fare al suo maestro. “E prima appresso Dio m’alluminasti”, continua Stazio nell’esaltare Virgilio. Nell’ecloga IV Virgilo esprime un ideale di assoluta purezza e molti autori (tra i quali Sant’Agostino) pensarono che Virgilio alludesse - con la forza profetica che i grandi poeti sanno raggiungere - alla venuta di Cristo, alla sua nascita: “E il bambino che nascerà, con cui avrà fine per la prima volta / la stirpe de ferro e quella d’oro sorgerà nel mondo intero”.