Al Museo Archeologico appare in una nuvola di fiori Beatrice
Il terribile e faticoso viaggio di Dante nell’Inferno, e per i sette tornanti penitenziali del Purgatorio, è un continuo spasmodico avvicinarsi all’incontro con Beatrice. Lo dice anche Borges: “Giocò con la finzione d’incontrarla per mitigare la propria tristezza”. Quest’incontro avviene nel XXX canto del Purgatorio che sarà letto criticamente domenica 26 agosto (sempre alle 11 di mattina, presso il Museo Archeologico Provinciale di Salerno) da Rino Mele. E’ un canto sconvolgente, l’apparizione di Beatrice sbalordisce Dante che cerca aiuto in Virgilio, ma la sua guida cara già non c’è più. Fuori da ogni sentimentalismo, Beatrice interpreta un ruolo di una durezza sconvolgente, è lì per aiutare Dante a raggiungere una possibile perfezione e non vuole essere per lui inutile consolamento. Così, agli occhi del glorioso e povero poeta pellegrino, sembra interpreti un ruolo troppo duro, militare, tanto che la paragona ad un ammiraglio: “Quasi ammiraglio che in poppa ed in prora / viene a veder la gente che ministra”. La donna della sua vita e della sua arte appare in una nuvola di fiori, vestita di rosso, con un verde mantello (colori già cari al ricordo della “Vita nuova”): è al centro dell’ineffabile processione mistica iniziata nel canto precedente: “In su la sponda del carro sinistra / quando mi volsi al suon del nome mio”. Quali le prime parole che questa donna (reale e simbolica) dirà a Dante? Sono parole di rimprovero, di sdegno e d’infinito amore, che una madre può rivolgere al figlio: “Così la madre al figlio par superba, com’ella parve a me”. Un canto importante, di felice dolore, di acuta introspezione. Nel XXX canto del Purgatorio, il cammino di Dante ormai sempre più lontano da riferimenti terreni, s’incurva verso una più difficile (e totale) esperienza.