IL CANTO XXV E L’UNIVERSITÀ DEL SAPERE
Domenica 22 al Museo Archeologico, Rino Mele continua la lettura e l’interpretazione critica della “Commedia” di Dante. Siamo ormai al XXV del “Purgatorio”, un canto importantissimo in cui Dante fa da scolaro attento all’insegnamento dei suoi due maestri, Virgilio e Stazio. Siamo entrati nell’utimo girone, il settimo. Ma è ancora ferma nella memoria l’immagine degli uomini smagriti, fino a essere irriconoscibili, del girone precedente, dei golosi. Così, è posto un primo problema: come possa smagrirsi chi non ha corpo e Virgilio tenta una spiegazione facendo riferimento alla suggestione degli specchi: i corpi irreali, fittizi (quelli degli specchi) nella nostra pratica quotidiana ci illudono come una concreta presenza e lo stesso accade con i fantasmi e le ombre che Dante ora incontra: “Al vostro guizzo, / guizza dentro a lo specchio vostra image”. Ma è, poi, Stazio ad affrontare il problema della natura umana nella sua realtà e rappresentazione, in cinquanta indimenticabili versi in cui viene svolta la drammatica storia dal momento in cui l’uomo è generato fino alla sua morte, dall’infusione nel feto dell’anima razionale che si aggiunge a quella vegetativa (delle piante) e sensitiva (degli animali): “Sì tosto come al feto / l’articular del cerebro è perfetto, / lo motor primo a lui si volge lieto / sovra tant’arte di natura”. Il “motor primo” è Dio, che accoglie ogni nuova vita infondendole l’anima: “E spira / spirito nuovo”. Sono pagine straordinarie. La morte, infine, sottrae tutto ma conserva all’anima un riflesso dell’esperienza del corpo, ed è questo che permette all’ombra di somigliare a qualche aspetto della perduta realtà.
